Tom li utilizza a terra, ma nulla vieta di usare supporti del genere anche su un tetto piano (ma con alcuni accorgimenti: ne parleremo dopo…).
Esperienza interessante, articolo da leggere, ma evidenziamo i punti deboli:
- la struttura non è sufficientemente ancorata al suolo
La struttura è appoggiata a quattro “plinti” (=blocchi in calcestruzzo, presumibilmente gettati in opera; ovvero, si scava un buco nel terreno, ci si inseriscono un po’ di tondini di ferro, si lascia sporgere un gancio o supporto per la struttura in legno, e si getta direttamente il calcestruzzo…)
Operazione semplice, ma poco efficace: la resistenza è data praticamente solo dal peso dei blocchi, che nel caso di Tom non è sufficiente.
Molto più efficace sarebbe costruire delle fondazioni che scendano più in profondità, ponendo quindi dei micro-pali di calcestruzzo; oppure costruire un cordolo interrato lungo tutto il perimetro della struttura, adeguatamente armato di ferri; o ancora, scendere con i nostri plinti fino ad incontrare lo strato di roccia sotto al terreno, ed ancorarsi su questa con appositi fissaggi.
Se il terreno è roccioso, possiamo risparmiare il plinto e fissare la struttura direttamente alla roccia (utilizzando in questo caso i fissaggi appositi: meccanici oppure con tasselli chimici)
- la struttura in legno non è ben progettata
Va bene la cornice perimetrale, ma la traversa diagonale in legno proprio non va.
Questa traversa serve a mantenere rigida la struttura, impedendole di deformarsi: ovvero, serve a fare in modo che la nostra struttura rettangolare resti un rettangolo, e non si deformi diventando un trapezio.
Però il legno lavora ottimamente a compressione, ma non altrettanto bene a trazione.
Quindi, una singola traversa non basta: ne servirebbero due, a formare una “x”.
Ma realizzare una struttura con la “x” è complicato, oltre che appesantire la struttura…
La soluzione consiste semplicemente nel sostituire quell’unica traversa diagonale di legno con due tiranti fatti in cavo di acciaio, oppure in lama in ferro.
I due tiranti non devono essere vincolati uno all’altro nel punto di contatto, ma liberi di scorrere: quindi, i cavi non dovranno esser morsettati fra di loro al centro o, se i tiranti sono realizzati con lame di ferro, non dovranno esser saldate fra di loro al centro.
- La struttura dovrebbe durare, sperabilmente, trent’anni… ovvero, la vita utile dei pannelli.
Tom utilizza “treated lumber”, ovvero legno impregnato… è quel legno, solitamente verdino, che si usa normalmente per l’arredo giardino. E non va bene, perché si tratta per lo più di abete o pino, destinato a durare (nonostante il trattamento) al massimo una decina d’anni all’aperto.
A meno di non volerci fare manutenzione periodica, e ritrattarlo ogni tre/quattro anni con l’impregnante… un lavoraccio.
Meglio sarebbe utilizzare legno più durevole, come rovere o acacia; una mano d’impregnante, trattare e proteggere con catramina le teste e le parti destinate ad essere interrate o a contatto con il calcestruzzo… e poi alla prossima manutenzione ci penseremo dopo non meno di sei o sette anni. - I cavi d’acciaio, usati come tiranti, vengono inseriti direttamente dentro un foro nel legno. Non va bene.
Il cavo d’acciaio, in conseguenza dei piccoli ma continui movimenti (dovuti, per esempio, al vento, alle escursioni termiche, ecc.) finirà per usurare il legno; il tirante risulterà così meno teso, i movimenti si faranno ancor più ampi, e l’usura del legno aumenterà ancora… fino a rendere del tutto inutile il tirante, o danneggiare addirittura il palo, che verà letteralmente segato dal cavo.
Qual è il modo giusto per fissare un tirante??
Dentro il foro nel legno bisogna introdurre un pezzetto di tubo di ferro a stretta misura (ovvero: lo dobbiamo cacciar dentro a martellate, con un mazzuolo di gomma, e deve restare ben incastrato). Poi nel tubo di ferro, così incastrato, passeremo il cavo d’acciaio, ed il legno sarà protetto dal tubo di acciaio. - Un ultimo consiglio: privilegiare ferramenta di acciaio inox. I nostri dadi, viti e barre filettate di acciaio, anche se zincate, tra quindici anni saranno ridotte a grumi di ruggine impossibili da sbloccare o svitare. Ogni operazione di manutenzione (fosse anche solo stringere delle viti allentate) diventerà una sofferenza…
Conviene spendere qualche euro in più, ed utilizzare ferramenta inox.
Se invece si è più pratici e meno eleganti, ed interessa che le cose vengano fatte presto, facilmente, economicamente, e che non abbiano bisogno di manutenzione, c’è sempre la soluzione dei versatili tubi da ponteggio. Oggi c’è un enorme offerta sul mercato dell’usato di tubi e relativi morsetti “fuori norma” e quindi non più utilizzabili per i ponteggi, ma ancora validissimi per costruire una struttura che debba sostenere dei pannelli fotovoltaici.
Se queste strutture non devono esser appoggiate a terra ma su un tetto piano, bisogna osservare un apio di accorgimenti:
- su un tetto piano non possiamo usare masse di calcestruzzo come zavorra, in quanto la capacità di carico è solitamente molto limitata.
- e neppure ancorarsi con fissaggi passanti non è una buona idea: i fissaggi forano la guaina, che è stata messa lì per fermare l'acqua...
Al posto dei fissaggi passanti è preferibile piuttosto usare dei tiranti in cavo d'acciaio, ancorati sul bordo del tetto (ma in questo caso: attenti alle ombre!).
Altro accorgimento per evitare di danneggiare la guaina: sotto i "piedi" della struttura, anteporre un elemento per allargare il piede (se usiamo i tubi da ponteggio, potranno essere gli appositi "piedini" rotondi; altrimenti potrà essere un piastrellone in calcestruzzo, o un pezzo di lamiera di spessore rilevante). A sua volta, questo "piede" non va appoggiato direttamente sulla guaina, ma sopra uno o due straterelli di guaina tagliata di misura appena superiore, destinata a fare da "cuscinetto" (basta appoggiarla a freddo, non occorre termosaldarla).
guarda in questo sito web : www.blockenergy.it
RispondiElimina